Next Generation Italia - #IlFogliodelCome

Il cambiamento climatico non può più essere considerato una questione distante. Molti dei suoi effetti sono tangibili sulle nostre vite. L’Italia, dal 1999 al 2018, ha avuto quasi 20 mila morti dovuti ad eventi climatici estremi. Siamo il sesto Paese al mondo per vittime, i secondi in Europa (dopo la Francia).
Oggi riusciamo ancora a convivere con questo cambiamento e siamo portati a pensare che potremo continuare a farlo in futuro, ma purtroppo non è così. Se non cambiamo rotta in modo deciso, entro il 2100 le ondate di calore provocheranno 200mila morti all’anno, nel 2050 l’Europa subirà danni tra i 115 e i 310 miliardi all’anno a causa delle alluvioni, di cui circa 50 in Veneto, che sarà la Regione più colpita d’Europa.
Al di là degli eventi climatici estremi, i comportamenti quotidiani legati al nostro stile di vita, come il consumo di combustibili, hanno effetti molto negativi sulla nostra salute. L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) stima che ogni anno in Italia muoiono prematuramente più di 60mila persone a causa dell’inquinamento atmosferico e che questo abbia un impatto maggiore sul nostro Paese rispetto agli altri partner europei: solo nel 2018 si sono contati 65.700 morti su tutto il territorio italiano attribuibili all’inquinamento dell’aria, contro i 41.300 della Francia e i 31.600 della Spagna.
Nonostante l’entità del rischio, la politica ha sempre risposto lentamente e timidamente a questi problemi. Il motivo principale della debole risposta globale ai cambiamenti climatici è il legame apparentemente inscindibile tra sviluppo economico ed emissioni. Storicamente, infatti, le economie più avanzate sono anche quelle che hanno emesso di più e la crescita economica ha avuto quasi sempre un aumento delle emissioni come conseguenza. La sfida più grande e importante nel contrastare i cambiamenti climatici consiste proprio nel rompere questo legame apparentemente strutturale: ciò sarà possibile soltanto realizzando un modello concreto di sviluppo sostenibile.
Negli anni l’Unione Europea ha fatto spesso da apripista nel contrasto al cambiamento climatico, ponendosi obiettivi tra i più ambiziosi a livello globale. Il Green New Deal approvato a maggio 2020 prosegue questa linea, ponendosi come traguardo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030.
Un modello di sviluppo sostenibile è realizzabile. Le tecnologie necessarie per abbattere del 55% le emissioni entro il 2030 esistono già e possono essere applicate in tutti i settori rilevanti. La barriera che lo impedisce è dunque di natura politica e non tecnica: manca la volontà di implementare rapidamente soluzioni tecnologicamente disponibili e spesso anche economicamente vantaggiose.
In questo documento ci concentriamo soprattutto sulle misure che occorrono per raggiungere l’obiettivo europeo di emissioni del 2030, sia perché le tecnologie necessarie sono già a disposizione, sia perché bisogna implementare queste politiche al più presto. Non c’è molto tempo per raggiungere gli obiettivi europei: ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990 equivale a ridurle del 41% rispetto al 2018.
Per ottenere questo, si deve intervenire subito su tutti i settori maggiormente responsabili della produzione di emissioni di gas serra: trasporti, produzione di energia, industria, edilizia, agricoltura e gestione dei rifiuti. Affronteremo ciascuno dei componenti, seguendo l’ordine del peso relativo di ognuno in termini di emissioni.
Purtroppo, però molti degli eventi climatici dannosi riconducibili all’inquinamento prodotto finora sono destinati a rimanere, anche ipotizzando il pieno raggiungimento dei target di riduzione delle emissioni. Da qui nasce l’importanza di prevedere anche delle politiche di adattamento che hanno l’obiettivo di contrastare e minimizzare gli effetti degli eventi climatici dannosi causati dal livello di emissioni già in circolo. In questo volume ci concentreremo sulla gestione del rischio idrogeologico, essendo l’Italia il Paese più esposto in Europa a questo tipo di fenomeni.
Implementare un modello di sviluppo sostenibile equivale a cambiare profondamente il nostro modo di produrre e consumare, aprendo le porte a nuove opportunità. All’Italia, Paese storicamente importatore di fonti di energia fossili e materie prime, investire sulla transizione ecologica e sull’economia circolare, permetterà di ridurre la spesa e la dipendenza energetica grazie all’autoproduzione di rinnovabili e al recupero/riciclo dei materiali.
Ridurre le distanze tra Roma e Parigi, Berlino, Londra. Superare le arretratezze e le disuguaglianze che appesantiscono l’Italia. Gettare le fondamenta per costruire il Paese della ‘Prossima generazione’. È arrivato il Governo Draghi ed è un’ottima notizia, ma la politica non può smettere di fare il proprio dovere: pensare e proporre.
Non tanto perché tra poco più di un anno si andrà al voto, quanto perché il gap con gli altri Paesi europei si è allargato in tutti i settori e il Covid c’entra fino a un certo punto. Questo divario non riguarda soltanto l’economia, gli investimenti o la produttività. L’Italia purtroppo ha perso terreno sulla società, sull’uguaglianza, sulla qualità dell’educazione, sull’inclusione delle donne. Importanti elementi sociali che dobbiamo mettere a posto.
Azione propone il suo Next Generation Italia che indaga le ragioni di questo arretramento e propone soluzioni, proposte concrete e dettagliate con stima di costi soprattutto per la governance futura. I primi tre capitoli sono dedicati ai bambini, ai giovani e alle donne, perché sono queste le categorie che hanno sofferto di più negli ultimi trent’anni e dove il divario con l’Europa si è ampliato raggiungendo ormai livelli di guardia.
Noi proponiamo invece di rimettere al centro dell’attenzione dello Stato le prime fasi della vita educativa dei bambini, attraverso un sostanzioso aumento delle le strutture per la prima infanzia passando dall’attuale copertura di un bambino su quattro a un bambino su due in quattro anni; migliorare la qualità dei servizi, ampliando il numero di laureati che può insegnare al nido; stimolare la domanda di servizi alla prima infanzia, rendendo il nido gratuito per la maggioranza degli italiani.

In Italia, poi, sono oltre due milioni i giovani tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, mentre la maggioranza di quelli che lavorano rimangono ai margini di un mercato del lavoro che li sottopaga e li precarizza. Sono conosciuti come Neet, dall’acronimo inglese ‘Neither in Employment or in Education or Training’. Una condizione, al di là dell’anglicismo, non consente loro di progettare una vita.

Far ripartire coloro che sono Neet già oggi attraverso un investimento straordinario (noi pensiamo a una dotazione di 24 miliardi di euro) nella loro autonomia economica e nella loro formazione, dando loro finalmente accesso a quelle opportunità di cui sono stati privati.
Allo stesso tempo dobbiamo evitare che i giovani di domani diventino Neet garantendo loro un’educazione di qualità e formativa per il lavoro. Per questo, pensiamo a numerosi interventi sulla scuola. Dalla riforma del calendario scolastico, alla formazione degli insegnanti, il potenziamento del servizio di mense, il tempo lungo e altre misure per contrastare la piaga della dispersione scolastica.
Quanto alla nostra proposta per le donne, le disparità di genere hanno radici profonde che originano da disuguaglianze sociali e economiche e si riversano in una diseguale distribuzione delle opportunità tra donna e uomo. Poche donne nel mercato del lavoro e poche donne ai vertici. Disuguaglianze di genere che nascono nelle famiglie, maturano durante l’infanzia, si consolidano a scuola, si perpetuano all’università e si cementano nel mercato del lavoro dove il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è pari al 56,5% in Italia, ultimo in Europa.

Servono congedi di genitorialità che equiparino uomo e donna, senza i quali le aziende preferiranno sempre assumere uomini, a parità di competenze, progetti educativi nelle scuole, università e nelle aziende per superare stereotipi di genere, un robusto potenziamento della rete antiviolenza e delle case rifugio e l’introduzione di corsi di educazione sessuale in tutte le scuole pubbliche del territorio italiano.